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domenica 30 ottobre 2011

La Cina è sempre più protezionista

Il riporto annuale della Camera di Commercio europea in Cina denuncia le difficili condizioni di accesso al mercato cinese da parte delle imprese straniere. L'ingrezzo della Cina nel WTO all'inizio del terzo millennio avrebbe dovuto equiparare la Cina alle altre potenze economiche mondiali. La Cina si era comunque presa un certo lasso di tempo (circa 7/8 anni) per adeguarsi alle regole del WTO.
La domanda che può sorgere è la seguente:
Come è possibile che un Paese che tanto auspicava ed ha lavorato per entrare nel WTO abbia potuto "non essere pronto" una volta che è avvenuto l'ingresso ?
Purtroppo non si riesce a sfatare il solito luogo comune dell'uomo della strada che vede la comunità cinese residente nel nostro Paese (ora meno di prima a dire la verità!) muoversi liberamente nella burocrazia e nelle regole italiane, mentre altrettanta facilità non è possibile per un'azienda italiana in Cina.
E' veramente solo un luogo comune ? E' vero che la tanta auspicata reciprocità non esiste ?
Nella pratica è così. Fra i molteplici esempi che si possono citare quello dell'acquisto di beni immobili (è fattibile per una società cinese in Europa/Italia, è quasi impossibile adesso l'inverso) e quello della costituzione di una società commerciale (non è particolarmente complicato per un cinese in Italia, lo è molto per uno straniero in Cina).
Ma ci sono settori merceologici che la Cina ha "decisamente" chiuso o precluso, per essere più democratici, alle aziende europee quali: l'energia, l'automobile, l'industria finanziaria, le costruzioni. Ci sono poi settori merceologici e nuovi mercati come quello dei veicoli elettrici che sembrano totalmente chiusi prima ancora di partire.
Tuttavia la Cina, per sviluppare e quindi crescere in questo settori, ha bisogno della collaborazione con partners stranieri, ma qui subentra un altro aspetto "chiave" nella collaborazione con la Cina: la tutela dei marchi e brevetti, quindi, della proprietà intellettuale. Se per le aziende europee un mercato è "precluso" queste vi possono accedere solo tramite accordi e collaborazione con gruppi Cinesi (le amate Joint Ventures) ma in questo caso il trasferimento di tecnologia deve essere tutelato e garantito.
Questo è tuttora il più grande problema che vincola l'ingresso delle aziende europee in Cina. Spesso le aziende europee sono costrette a trasferire  il proprio know how per accedere al mercato cinese.
Quando si parla di trasferimento di know how siamo tutti portati a pensare ai settori Hi Tech, elettronica, informatica, meccanico; in realtà questo principio è presente in tutti i settori merceologici.
Ad esempio per vendere il Vino di importazione in Cina si deve apporre (come in USA) una retro-etichetta in cinese. Oltre ai documenti che ne attestano l'origine l'importatore cinese chiede una serie di informazioni relative al prodotto ed alla sua lavorazione, nonché al marchio ed al suo nome tradotto in cinese. In pratica dopo un lungo lavoro  che vale per una scatola come per una nave di vino da introdurre in Cina, l'operatore cinese  ha in mano tutto quanto è necessario per registrare marchi, nome, nonché produrre l'articolo. E se per il vino o per i prodotti alimentari può essere certo un danno (caso Ferrero Rocher, Chateua Lafite), ma dove il fattore origine/territorio ha ancora il suo peso (il Chianti è toscano), molto di più lo è per i settori sopracitati (elettronica, informatica, moda, meccanico, meccano-tessile, elettro-medicale, eccetera) dove l'origine del prodotto non è un valore aggiunto, lo è, caso mai, la Brand.
Questa incertezza nella tutela della prorpietà intellettuale, insieme alla situazione di crisi economica mondiale, ha visto un forte decremento degli investimenti europei in Cina.
La conclusione è che il protezionismo cinese non è solo una barriera per proteggere la produzione interna dall'invasione di prodotti stranieri più qualificati e con costi sempre meno distanti da quelli cinesi, è soprattutto uno strumento ed una tecnica di controllo del mercato internazionale, di crescita qualitativa del prodotto Made in China e di regole di cooperazione con i con i partners stranieri.
Una politica protezionistica è sempre segno di timore, paura di essere "conquistati".
E' indubbio che il Governo cinese teme la concorrenza europea, ma allo stesso tempo l'ammira ed ha simpatia, ha soprattutto bisogno di crescere ed apprendere da noi.
L'Europa, d'altro canto, ha necessità del mercato cinese come mercato di sbocco.
Sta a noi cogliere l'occasione e decidere cosa vogliamo fare.
Soprattutto noi italiani dobbiamo svegliarsi  ! Imparare dal pragmatismo cinese: (in)formarsi, programmare, investire, collaborare (prima fra di noi e poi con la realtà cinese), smettere di parlare ed agire, ed allora  anche certe reali barriere protezionistiche saranno meno difficili da superare.