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mercoledì 16 ottobre 2013

Nababbi cinesi

Nell'elenco dei 100 personaggi più ricchi della Cina il primo, un costruttore, ha una patrimonio di circa 14 miliardi di dollari. In questo elenco dei più "invidiati" al mondo il più vecchio ha 82 anni (60a posizione) ed opera nel settore del carbone, la più giovane ne ha 32 (7a posizione) ed anche lei come il capo classifica opera nel settore real estate, ma la media è sui 50 anni. I settori di appartenenza di questi nababbi sono in maggior misura quelli del real estate, internet, automotive e delle energie rinnovabili.
Questi dati non sorprendono più di  tanto alla luce dell'evoluzione della Cina dal 1990.
Le ricchezze ammassate sono il frutto della rapida crescita dell'economia cinese negli ultimi 20 anni e spesso questi magnati hanno un'esperienza familiare e background Made in Hong Kong. In particolar modo il settore real estate è stato quello più redditizio soprattutto nel breve termine. Quando negli anni '90 Shanghai ha cominciato a svilupparsi c'erano aree come il Pudong dove si poteva acquistare appartamenti che a distanza di sei mesi vedevano letteralmente raddoppiato il loro valore in ragione del fatto che la città si stava allargando e con essa i servizi di comunicazione, centri commerciali, eccetera.
Anche il settore manifatturiero ha portato ricchezze soprattutto a quelle aziende che esportavano. Tuttavia per molti anni la ricchezza è rimasta in mano alle aziende di stato (oggi in crisi) che gestivano burocraticamente le esportazioni e le transazioni finanziarie.
Il settore auto, in fortissima crescita da anni, ha prodotto ricchezza e le Joint Ventures che ne sono nate hanno permesso l'arricchimento di cinesi privati in ragione del rapporto diretto con l'investitore estero.
Il settore comunicazioni, internet e telefonia, è un altro di quei settori che ha conosciuto vendite e transazioni incredibili. Di conseguenza ha permesso ad alcuni di accumulare ricchezze non indifferenti.

Cos'è che rende diverso il cinese straricco da figure simili di altri paesi ?

Sicuramente il basso profilo, la semplicità, l'essere diretti che è poi la forza di questo popolo.
Il numero uno dei cento più ricchi della Cina risponde tranquillamente  al cellulare !
Nei miei quasi 20 anni di Cina ho avuto modo di incontrare e parlare anche confidenzialmente con big boss, managers, investitori ai quali spesso non davo il valore che avevano proprio in ragione dell'atteggiamento semplice e talvolta informale (al di fuori degli incontri di affari) con cui si approcciavano, ma questi erano personaggi talvolta molto importanti e se talvolta giovani con grande potere. E' chiaro che queste figure non le incontri per la strada c'è sempre chi (cinese) mette la faccia per te e ti presenta in ragione del fatto che ti conosce, che può garantire per la tua serietà, che sei referenziato, eccetera. Ma una volta che sei nel cerchio e hai la fiducia non ci sono barriere anche con figure così "potenti".
Il cinese guarda se c'è l'affare e tratta direttamente e decide velocemente. Se ci crede, se ha fiducia e fiuta l'affare, conclude.

Oggi tutti si muovono verso la Cina: aziende, istituzioni, privati, cercando di incrociare uno dei questi ricchi e sperando così di "essere acquistati" (anche se la formula espressa è "ricerca di investitori") per la nostra azienda, per la nostra figura professionale o per il nostro Paese. Tuttavia i grossi investitori cinesi hanno una gamma di possibilità di scelta enorme. Ci sono Paesi, aziende, che offrono più garanzie di noi e questo è il punto che fa la differenza. Non è un caso che il Vino in Cina transiti dalla Svizzera ed il turismo cinese in Europa dalla Germania. E' una gap difficilmente colmabile.
Quello che ci rende lontani, poco interessanti alla Cina e deboli con i concorrenti stranieri è la scarsa capacità all'investimento. Pretendiamo di vendere in Cina, ma non investiamo sul nostro prodotto per farlo conoscere ai cinesi; pretendiamo di incentivare gli investimenti cinesi in Italia, ma non creiamo le condizioni per facilitare l'ingresso di questi investitori. Pretendiamo che l'investimento sia tutto a carico dell'altra parte.

Ecco che torniamo ai nababbi cinesi ed al fatto che essi per creare queste fortune hanno rischiato, investito, scommesso su loro stessi e sul loro Paese. Così se vogliamo fare accordi con queste figure dobbiamo dimostrare di rischiare, investire e scommettere sul nostro prodotto e/o sul nostro Paese. 
Basterebbe forse guardare indietro e rivedere cosa abbiamo fatto dal dopoguerra per almeno un ventennio.
L'esempio dei nostri padri può ancora insegnarci qualcosa.

martedì 1 ottobre 2013

1° ottobre festa nazionale in Cina, cari politici italiani meditate

Si celebra oggi in Cina la festa nazionale della Repubblica Popolare Cinese proclamata il 1° ottobre 1949. 
La Repubblica Popolare Cinese compie quindi 64 anni ed in questi anni (soprattutto negli ultimi venti) ha visto una crescita ed un cambiamento che non ha conosciuto rallentamenti. Da nuova Repubblica isolata dal mondo (nel 1949) si trova adesso ad essere tra le prime economie mondiali con la prospettiva e l'ambizione di essere la prima entro pochi anni. 
Guardando la Cina mi viene automatica una riflessione sull'Italia da dove siamo partiti a dove stiamo arrivando. Ammirando il successo della Cina annotiamo la nostra perdita di credibilità. Basta guardare cosa ha fatto la Cina per capire il suo successo e, purtroppo, constatare il nostro insuccesso dovuto ad azioni diametralmente opposte a quelle cinesi.
Per crescere la Cina ha  puntato sulla stabilità politica. Talvolta usando la forza per mantenerla a scapito dei diritti civili, ma a vantaggio di una crescita economica e sociale.
I piani quinquennali cinesi, nati emulando quelli Russi, hanno garantito la programmazione ed il raggiungimento dei risultati prefissati, ovviamente passando da aggiustamenti non indolore quali la rivoluzione culturale o le ultime politiche di Mao prima della morte, Tienanmen.
Il rapporto costruttivo con i Paesi esteri, anche quelli storicamente nemici, ha permesso alla Cina di cooperare per la crescita interna senza essere comprata o sfruttata dai Paesi più forti economicamente.
Lo spirito e l'orgoglio nazionale è, secondo me, la forza della Cina ed è quella continuità ed eredità che ha ricevuto e tramandato prima Mao poi Deng. La Cina che in cinese si dice 中国 Zhōngguó, letteralmente «Paese di Mezzo» o «Splendore del centro» da millenni si considera al centro del mondo e questa è la loro forza. Anche nei momenti di vera solitudine mondiale, soprattutto all'inizio della Repubblica, non si è mai sentita più debole di altri. 
In questa ostinata, ma giusta  programmatica politica di sviluppo la Cina ha ridotto l'analfabetismo e la povertà in un territorio che è un continente.
Guardando in casa nostra ci si accorge il perché l'Italia perde posizioni: instabilità politica, divisioni interni, mancanza di una programmazione politica/economica, ed altro ancora.
In Cina ci sono sicuramente degli elementi negativi dovuti sia ad una crescita rapida sia ad una politica che non permette deroghe al programma. Il partito unico ha prodotto corruzione; il sistema giuridico (peraltro acerbo perché nato dopo il 1980)  è fallace ed in continua evoluzione, fra l'altro ancora permane la pena di morte; la crescita economica e sociale c'è stata, ma è nata anche una minoranza politicamente e finanziariamente forte a scapito di una fascia di poveri che è quasi di 800 milioni. Probabilmente altre problematiche, tipiche dei Paesi sviluppati prenderanno il posto in Cina a quelle dei Paesi in Via di Sviluppo a cui fino ad ora hanno dovuto tener testa.

Resta il fatto che la Cina è in realtà  la vera culla e grande scuola della politica. E quando la politica funziona l'intero paese funziona. 
Un Paese che ha chiaro ciò che vuole essere e segue un piano ben preciso, ma non scopre le proprie carte (proprio come un esperto giocatore di poker). A scuola ed alle università si insegna l'arte del contrattare, dell'arrivare al proprio obiettivo senza un conflitto )che poi è quello che insegnava Sun Tzu nell'Arte della Guerra scritto nel V° secolo avanti Cristo ) e questo avviene quotidianamente in Cina basti guardare i rapporti politici, economici, internazionali in genere.
D'altronde è proprio il dettato costituzionale all'Art 1 e 2 il vero biglietto da visita della Cina. Si parla di Repubblica democratica, ma si parla anche di partito unico e di dittatura, il potere è del popolo, ma non ci sono elezioni popolari o referendum; all'art.4 si parla del rispetto delle minoranze etniche, e non credo che siano molto d'accordo in Tibet o Xinjinag !
Di fatto queste apparenti contraddizioni nascondono una chiara e netta volontà politica e la consapevolezza che si possa riaggiustare qualcosa in futuro senza stravolgere il principio fondamentale.
Allora, nonostante il crollo del muro di Berlino non si nega il comunismo, ma si dice che la Cina ha una via del comunismo che non è come quello Russo .
Mi viene in mente la frase di un carissimo amico di famiglia, cinese, che diceva che la Cina è come un'auto che mette la freccia a sinistra e gira  destra.

Mai come adesso come italiani dovremmo prendere esempio dalla Cina nello spirito nazionale, l'unità, l'orgoglio, la capacità di programmare per il resto abbiamo ancora molto da dare e non è un caso che ci sia una grande comunità cinese in Italia da decenni.




lunedì 5 agosto 2013

Crisi = Rischio + Opportunità



I cinesi 200 anni fa hanno coniato il termine Crisi unendo i due ideogrammi che vogliono dire Rischio e Opportunità.
In questo momento di forte recessione non è facile "sopravvivere" con gli strumenti tradizionali serve qualcosa di nuovo (Innovazione), serve lo studio per arrivare a questa innovazione (Ricerca) è necessario contenere i costi, ma non fermarsi, utilizzare quindi strumenti di marketing e visibilità low cost, ma sempre diretti sul mercato.

Se si parla di internazionalizzazione la cosa si complica. Cosa fare? Puntare su mercati tradizionali a basso contenuto di rischio, ma molto più concorrenziali o scommettere su mercati nuovi con minor concorrenza, ma ad alto rischio ? 
Credo serva un mix fra le due strategie. Come è possibile escludere a priori, ad esempio, se andare in USA o in CINA? 
Dobbiamo presenziare le due fasce di mercato.

E' adesso  in questa fase di forte crisi, non solo economica/finanziaria, ma anche di valori, di idee, di progetti, che  si misura la capacità dell'imprenditore che deve rischiare per avere nuove opportunità. Certamente non può stare fermo, ma nemmeno muoversi freneticamente e ciecamente in cerca di nuove opportunità.
Serve quella che fino a un paio di decenni fa veniva compensata dal boom economico: la programmazione.
Senza una oculata programmazione non si arriva ad una scelta che deve ridurre al minimo il rischio, che comunque deve esserci.

Anche la  Cina oggi attraversa una fase di recessione, e questa rappresenta una opportunità per le nostre aziende. Certamente c'è qualche rischio in più e qualche fatica in più (ma in Cina è sempre faticosa !) tuttavia una flessione  implica una maggiore apertura della Cina  verso i Paesi stranieri.. 
Il problema, come sempre, è soprattutto italiano: siamo piccoli, ma non vogliamo aggregarci per essere più forti; non abbiamo fiducia nei cinesi, ma preferiamo delegare al primo venuto dalla Cina la gestione del proprio prodotto o marchio; parliamo di Made in Italy, ma non vediamo l'ora di produrre all'estero; parliamo di internazionalizzare, ma non andiamo oltre la presenza di una fiera all'estero o una missione; ed altro ancora.

Parlando con le aziende queste spesso ci domandano: 
"Ma il mio prodotto piace ai cinesi? Perché se così  non fosse  cosa vado a fare in Cina ?"
Ovvero : vado in Cina se vendo (o ho venduto) altrimenti  non  vado.
A questi quesiti in genere rispondiamo che 1) Bisogna capire cosa piace ai cinesi;  2) se non mostriamo il prodotto e lo facciamo provare come possiamo capire se piace
Ovvero: la fase di proposta e acquisizione delle informazioni del mercato devono essere fatte più direttamente possibile dal produttore.
Purtroppo le aziende cercano sin dall'inizio di delegare all'acquirente la prima fase di studio e ricerca di mercato che questi deve fare a fronte di un ordine. Poi ci si meraviglia se il prodotto o viene copiato o non viene più acquistato.

Speriamo che in questo momento di crisi  le aziende colgano l'opportunità di cambiare mentalità altrimenti rischiano veramente di non avere più tempo per programmare.

Un proverbio cinese racchiude in poche parole quella che è la situazione attuale e come questa può essere trasformata in opportunità :
Ciò che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla




lunedì 10 giugno 2013

Nuovi dazi della Cina per i vini europei ?

In questi ultimi giorni si legge sui giornali che la Cina vorrebbe introdurre nuovi dazi o barriere ai vini europei visto che l'Europa ha messo dazi alti sui pannelli solari prodotti in Cina.
Immediatamente tutti i giornali hanno riportato questa notizia dando quasi per certa la nuova "tassa" con conseguente danno ai produttori vitivinicoli italiani.
Occorre fare chiarezza e cercare di capire. Per far questo è opportuno conoscere la mentalità cinese e le strategie commerciali che la Cina attua da anni.

In questa situazione l'Italia ha un grosso vantaggio e cioè che il mercato cinese è molto importante per la Francia (con cifre non facili da raggiungere per l'Italia) e quindi, i francesi, per proprio tornaconto utilizzeranno i loro canali diplomatici per risolvere il problema e questo sarà anche a nostro vantaggio. Infatti si sono già mossi ! E' probabile che la Cina abbia utilizzato questo pretesto  proprio per ridurre lo strapotere commerciale e di immagine dei vini francesi in Cina.

Un altro aspetto da tener conto è che la Cina privilegia i rapporti di scambio,  le contropartite, il do ut des commerciale, sia come retaggio della vecchia compensazione (baratto) che attuava nei primi anni di apertura non avendo moneta (dollaro) per i pagamento e sia come politica di crescita attuata da Deng Xiao Ping dal 1979 e cioè scambio di attività, servizi, mercato per crescere (basti vedere il settore dell'auto).
Nel settore vino la Cina ha già rapporti privilegiati con Australia,  Cile, California ai quali facilita l'apertura del mercato cinese per i loro prodotti a fronte di contratti speciali di forniture di materie prime come lana, acciaio, petrolio ed altro.
La Francia è un discorso a parte. I rapporti diplomatici,  tutto sommato, sono sempre stati buoni sin dai primi anni del '900; i rapporti con le università sono stati ottimi da sempre. Nel Vino la Francia è entrata per prima, e proprio per la politica del do ut des commerciale, i francesi hanno "insegnato" ai cinesi a fare il vino. Forse, l'unica paura è che la Francia sia troppo presente sul mercato e che quindi la Cina voglia un po ridurre la sua "forza" commerciale. Era successo qualcosa di simile anche con Carrefour qualche anno fa.
Situazioni simili si stanno verificando con il Giappone per una disputa su una isoletta di fronte alla Cina passata al Giappone dopo la IIa Guerra Mondiale, molto piccola, anche se in posizione strategica.
Di fatto il governo cinese sta mettendo in cattiva luce il Giappone con conseguente danno commerciale alle moltissime aziende produttrici giapponesi presenti in Cina. Anche qui la situazione è a dir poco sospetta.
All'odiato Giappone è stato permesso per decenni di investire in Cina . Ciò a permesso la crescita della Cina (investimenti, tecnologia, know how, brands) basti pensare al settore elettronica, auto, trasporti, ma la troppa presenza e forza straniera  in Cina deve essere tenuta sotto controllo.
La mia tesi appare più veritiera se si pensa che la Corea del Nord, Paese da sempre amico della Cina, avrebbe certo bisogno di una seria e decisa presa di posizione della vicina Cina visto il pericolo nucleare evidente. Fra l'altro, date le precarie condizioni economiche del paese e le sue dimensioni anche in termini di popolazione, credo che basterebbe davvero poco. Tuttavia la Cina non è così decisa come per il Giappone.

E l'Italia dov'è ? L'Italia non c'è semplicemente perché l'Italia in Cina non è presente così come lo sono altre realtà internazionali. Forse alla Cina è sufficiente la comunità cinese in Italia per controllare il nostro Paese !
Il vino italiano non è presente in Cina e quello presente è svenduto prima ancora di essere venduto ! Viene venduto dall'Italia Chianti DOC a €1,30,  Rosso IGT a € 0,80 sfuso a € 0,45/litro il che vuol dire che il cinese può vendere una sua etichetta con un vino fatto in Italia che costa molto meno del vino fatto in Cina e, sebbene il vino italiano low cost  non sia eccelso venduto a quei prezzi, è sempre meglio di quello cinese.

Allora ai tanti allarmismi apparsi sui giornali risponderei con una notizia dal taglio ottimista: 
- non credo che la Cina apporrà nuovi dazi sul vino europeo; 
- la Francia correrà anche per noi;
- il dazio attuale in Cina sul Vino è del 50% circa. Se anche raddoppiasse i nostri vini low cost reggerebbero sempre all'urto dell'aumento
- non abbiamo molto da perdere, perché non abbiamo grossi investimenti e non abbiamo grande visibilità

Non ci rimane che sperare nel biblico "gli ultimi saranno i primi!"


martedì 14 maggio 2013

Qual'è la considerazione della Cina verso l'Italia ?

Ultimamente si sente parlare spesso che la Cina cerca e acquista prodotti e marchi italiani. L'export del vino è in crescita così come quello dei prodotti alimentari; la moda ha già una presenza importante con le big brands italiane; l'hi-tech italiano è molto ricercato; il turismo cinese in Italia è in aumento e si aspetta una ondata, sullo stile giapponese, nei prossimi anni.

Tuttavia questo forte interesse della Cina verso l'Italia deve essere letto alla luce di numeri e rapporti che la Cina ha con il resto del mondo.

Intanto l'Italia deve recuperare terreno in Cina (impresa ardua) nei confronti dei cugini europei, quali Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Svezia che per settori diversi hanno una presenza più solida e strutturata in Cina. In sintesi HANNO INVESTITO DA ANNI SU QUEL MERCATO e stanno continuando a farlo.
L'Italia deve recuperare, poi, verso le altre nazioni del mondo che hanno qualcosa in più da offrire alla Cina. Africa, Sud-America, Sud Est Asiatico, Oceania, Medio Oriente.

Ecco allora che dobbiamo domandarci:  
 - se noi non investiamo in Cina perché la Cina dovrebbe investire su di noi ?
- Quale "scambio" di servizi (la cooperazione cinese è basata sullo scambio per la crescita) noi possiamo fare con la Cina che gli altri non fanno ?
L'Australia ha un rapporto privilegiato perché la Cina è il primo acquirente di lana, il Kazakistan per il Cotone, il Cile per il rame ed altre materi prime, il Brasile idem, la Germania per l'industria, il Giappone per l'elettronica, eccetera.
A questi Paesi si aggiungono quelli amici come Corea del Nord, Vietnam, alcuni Paesi dell'Est Europa,  legati da decenni da ragioni politiche, militari ed economiche.
Ci sono Paesi come USA, Russia, Giappone ed anche Taiwan dove il rapporto con la Cina lo si può definire di "amore e odio" una sorta di cooperazione necessaria alla crescita.

E l'Italia ?

L'Italia ha tutti i requisiti per essere "simpatica" alla Cina, ma non necessaria ! Per questo alla Cina è al momento sufficiente l'attività e la penetrazione dei cinesi residenti in Italia che piano piano stanno "conquistando" il nostro  paese e con la nostra approvazione. Molte aziende (e forse anche molte istituzioni) si augurano che qualche  magnate cinese acquisti la loro attività pensando che l'immissione di denaro fresco aiuti la nostra economia.
Ma questa non è la strada giusta.
Per fare affari con la Cina si deve investire, e lo si deve fare in Cina per farsi vedere, per valorizzare il nostro prodotto, per vendere meglio, per essere credibili, per creare nuovi sbocchi di mercato, per avere una "valida moneta di scambio", per non essere copiati, per avere più forza contrattuale, eccetera.
Negli affari non bisogna essere simpatici, si deve essere utili e necessari. E la Cina, che è un paese pragmatico, cerca e vuole questo. In questo modo anche noi avremmo una contropartita valida.

Un caro amico cinese parlando delle aziende italiane mi diceva: "Perché dovrei investire io sul marketing delle aziende italiane quando loro non vogliono mettere niente ? Perché se le aziende italiane ritengono importante il mercato cinese ed il loro prodotto altamente qualificato e competitivo non investono per loro stessi invece di chiederlo alla controparte cinese ?"
Esistono tuttavia alcune belle eccezioni italiane in Cina che, purtroppo, tali rimangono e che quasi sempre si sono costruite  il mercato senza l'aiuto alcuno delle nostre istituzioni.

Alla luce di questa riflessione non c'è da da sorprendersi se l'11a edizione della Fiera Internazionale dei Beni di Consumo che si svolge a Ningbo (città gemellata fra l'altro con Firenze) patrocinata dal Ministero del Commercio di Pechino e dalla Provincia di Zhejiang (da dove provengono i cinesi residenti in Italia) abbia un sito web di presentazione in ben 11 lingue (cinese tradizionale e semplificato, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, coreano, russo, giapponese, arabo), ma  non in l'italiano !!!!
Questa è la considerazione e la visibilità dell'Italia in Cina !

I risultati con la Cina si ottengono tramite una politica di penetrazione graduale, diretta, operativa legata ad un investimento programmato.
  
Un proverbio cinese recita:
Quando fai piani per un anno, semini grano.
Se fai piani per un decennio, pianti alberi.
Se fai piani per la vita, formi ed educhi le persone.

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/proverbi/cina/proverbio-122771?f=t:221>

sabato 13 aprile 2013

Strategie cinesi

In questo periodo di recessione mondiale, la Cina, che deve affrontare anch'essa una recessione interna unita a problemi di crescita, sembra avere le idee chiare (come sempre !) su come "approfittare" commercialmente e finanziariamente di questa situazione.
Così mentre l'export cinese decresce per problemi legati alla crisi mondiale, alla concorrenza di altri PVS, all'aumento dei costi legati all'inflazione, all'aumento dei salari all'aumento del costo della materia prime sempre più utilizzate per il fabbisogno interno, l'import della Cina aumenta soprattutto per i prodotti finiti, anche se il mercato non è al momento ricettivo come la stessa Cina vuol far credere.

Allora quale strategia applica la Cina per essere sempre competitiva e non subire bruschi rallentamenti che potrebbero compromettere il delicato equilibrio sociale e la continua crescita del PIL, seppure non più a due cifre ?

La risposta è : INVESTIMENTO.

La Cina investe e lo fa con l'aiuto e la complicità dello Stato. Ed è un processo che continua ormai da decenni e non incontra ostacoli e rallentamenti, ma solo aggiustamenti (piani quinquennali) di strategia.

Uno dei problemi della Cina è l'approvvigionamento delle materie prime, soprattutto per il fabbisogno interno, ma anche come forma di controllo e "guerra" ai competitors stranieri. La Cina, quindi,  stipula accordi con Paesi ricchi di materie prime come Africa, Sudamerica, Kazakistan, ecc con i quali mette sul piatto la sua potenzialità di mercato di sbocco (potenziale e futuro) creando un rapporto di collaborazione "privilegiata" per acquisto o sfruttamento delle materie prime di questi Paesi (azione reale e immediata). Questa differenza fra vantaggio immediato con svantaggio futuro rappresenta già un guadagno per la Cina.
Naturalmente questa azione è supportata da una presenza e gestione diretta dell'investimento estero da parte della Cina, la quale non delega allo "straniero" il management del proprio investimento, ma lo gestisce in proprio (cosi la Geely acquista la Volvo per entrare in europa non fa un JV o delega altre case produttive).

C'è un altro spetto che  interessa le PMI italiane interessate  vendere i prodotti Made in Italy in Cina. 
La Cina ha la necessita (politica espressa in questo Piano quinquennale e ribadita dal nuovo Presidente) di sviluppare la distribuzione interna ed aumentare i consumi, ma ha problemi di carenza di formazione in marketing ed in qualità del prodotto interno. Si rende necessario facilitare l'ingresso di prodotti stranieri evitando, però, di farsi  "comprare" o perdere il controllo a vantaggio dei più esperti, organizzati e qualificati produttori stranieri.
Come controllare tutto ciò ? Ed ecco allora in Cina  il proliferare di fiere, missioni, il mantenimento di dazi o impedimenti o rallentamenti doganali, l'interferenza di pseudo Trading o Intermediari come Logistiche, ma anche avvocati o rappresentanti governativi. o altre figure iper-referenziate  che si accaparrano simpatie (a volte retribuite) di analoghe figure estere che fanno da "referenti" per i produttori straniere.
Tutto questo per evitare ciò che la legge cinese (a denti stretti) permette, e cioè la possibilità per una ditta straniera di creare una propria struttura di diritto cinese, indipendente finanziariamente e burocraticamente, che possa operare direttamente in proprio sul mercato cinese.

Negli ultimi tempi, vista anche la forte crisi del settore immobiliare cinese (e questa bolla che speriamo non esploda) sono moltiplicate le offerte di HUB (grandi aree commerciali assimilabili a piccoli quartieri) come soluzione ai problemi di marketing e penetrazione del mercato. Si offrono spazi a tempo (3 -6 mesi o un anno) per negozi spesso a costo zero dove la parte straniera deve "solo" mettere la merce ed aspettare gli ordini, che in genere non arrivano mai.
Sarebbe troppo semplice ! Esiste un risultato senza investimento ? Oppure i vari Volkswagen, Toyota, Gucci, Ferragamo hanno voluto spendere, e continuare a spendere per niente ?
Non è sufficiente mettere un prodotto in vetrina e delegare la gestione alla sola parte cinese !
In realtà questi HUB o spazi vendita  "convenienti" sono spesso  aree che potenzialmente possono essere visitate da migliaia di persone il giorno, o, a volte, anche nel presente sono visitate da moltissime persone che però non sono i compratori del prodotto di lusso. Sono aree che hanno bisogno da 3 a 10 anni per svilupparsi. ma nel momento buono verranno venduti e/o affittati ai prezzi di mercato.
Per esperienza personale abbiamo avuto un negozio di moda nel 2003 nel più bel Shopping Center di Lijiazhui, il Super Brand Mall,  in pratica sotto la torre della televisione di Shanghai, in pieno centro finanziario, 240,000mq di mall, 100,000 visitatori il giorno. Ma per 5 anni questi visitatori andavano al supermercato Lotusa al piano interrato e solo pochi nei negozi o ristoranti. 
Adesso il mall funziona benissimo, non è facile entrarci ed i costi probabilmente vanno da 3,5 a 4,5 dollari il metro quadro il giorno.

Quindi INVESTIMENTO: in risorse umane qualificate e che conoscono il mercato cinese, in marketing, pubblicità e giusta location.

Se è complicato capire dai cinesi, cerchiamo almeno di imparare dai tedeschi !

Buona Cina

giovedì 3 gennaio 2013

Urbanizzazione e Trasporti in Cina per far crescere il Paese

La Cina ha attualmente 6800 km di linea ferroviaria per l'Alta Velocità e nel 2015 arriveranno a 18000 km.
Il 1° dicembre è stata inaugurata la linea Alta Velocità di circa 1000 km da Harbin a Dalian che, dall'estremo Nord-est della Cina corre verso l'estremo Nord-ovest attraversando le 3 Province più "fredde" della Cina. Harbin, capoluogo della Provincia di Heilongjiang, famosa per le costruzioni in Ghiaccio, può raggiungere anche i 35 gradi sotto lo zero ! Questa linea, quindi, è anche tecnologicamente avanzata per poter offrire questi servizi ed essere sicura con questo clima ostile. 
Nei giorni scorsi è stata inaugurata la linea ad Alta Velocità Pechino - Canton (8 ore per percorrere circa 2300 chilometri) che unisce due importantissime città una al Nord, la capitale, l'altra al Sud.
Fra l'altro l'Alta Velocità in Cina oltre ad essere efficiente, puntuale, comoda non è nemmeno cara (per noi) o non proibitiva per i cinesi che comunque possono sempre utilizzare la linea "normale".
La linea ferroviaria che unisce le città si integra perfettamente con le linee della metropolitana, dei bus, dei taxi (anch'essi non proibitivi come da noi), delle aree metropolitane.

Le aree metropolitane sono costruite o riassestate seguendo la logica di sviluppare le aree centrali o storiche per le abitazioni e centri commerciali di lusso, spostando le fabbriche in zone periferiche (vicino ai porti, alle uscite delle autostrade o zone comunque facili da raggiungere e che non congestionino il traffico urbano) demolendo vecchi palazzi e creando parchi laddove il cemento sia troppo presente, creando zone residenziali di lusso (ville e giardini) alle porte della città, creando zone fieristiche vicino ad aeroporti e/o circonvallazioni e/o autostrade, eccetera. 

Quello che più sorprende in Cina è che la priorità è data al bene comune, la crescita del Paese, la qualità e l'efficienza dei servizi e per questo l'interesse particolare è quasi sempre secondario all'interesse della comunità. Per cui se c'è da costruire un parco demolendo vecchie costruzioni questo viene fatto nei tempi previsti seguendo il progetto urbano. Agli abitanti delle vecchie abitazioni viene dato una abitazione migliore (nuova e più grande) e  magari anche una "sopravvalutazione" del loro immobile. E' così che negli anni '90  a Pechino si sono arricchite alcune famiglie che abitavano in quartieri, dove l'esproprio forzato veniva ampiamente gratificato con un vantaggio notevole per l'espropriato.
I nuovi quartieri, palazzi, grattacieli, siano essi residenziali o commerciali sono una opportunità per chi costruisce e per chi acquista dal momento che la rivalutazione degli immobili, unitamente alla rivalutazione dell'area circostante, ha avuto crescite più assimilabili ad una vincita della lotteria che non ad una normale rivalutazione immobiliare. In Pudong, l'area nuova di Shanghai,  una decina di anni fa quando venivano costruiti palazzi residenziali in prossimità del centro finanziario (Lujiazhui) chi aveva avuto l'intuito di acquistare uno o più appartamenti aveva visto raddoppiare il valore dell'immobile in soli 6 mesi ! Questo perché in quel tempo nasceva il quartiere e magari veniva raggiunto dalla linea della metropolitana.

In Cina, poi, si cerca di evitare la forte urbanizzazione o corsa verso le grandi città sviluppando le città limitrofe o più piccole agevolando gli investimenti in quelle zone e detassando le imprese, ad esempio, che intendono investire.

Tutto questo per dire che se una Paese vuol crescere deve investire prima di tutto nelle infrastrutture e renderle efficienti prima possibile. La Cina si pone obiettivi e scadenze che rispetta e sono progetti enormi.
A questo punto, come italiano, mi verrebbe da fare dei confronti fra lo sviluppo cinese ed il rallentamento italiano..... poi penso alla mia città (Firenze) o alla mia regione (la Toscana) e penso che per fare la FiPiLi strada che collega Firenze e Livorno ci hanno messo più di vent'anni (80 km) creando una strada fra le più pericolose  insieme alla Firenze Siena..... ma l'elenco delle inefficienze italiane sarebbe troppo lungo ed in continuo aggiornamento !