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martedì 15 settembre 2015

La Cina è in recessione ?

L'opinione pubblica è stata colpita dagli ultimi eventi in Cina, ovvero la svalutazione dello Yuan. Così molti adesso affermano (anche compiaciuti !) che la Cina è in recessione, è in crisi e che quindi non conviene andare ad investire perché rischioso.
In realtà la Cina resta uno dei nuovi mercati tra i più sicuri e stabili sia dal punto di vista economico, che sociale e dove (almeno formalmente) lo straniero è tutelato.
Ma il problema che ha portato alla svalutazione parte più da lontano. 
La Cina ha rallentato la crescita nelle zone più evolute ed ha subito il contraccolpo della nuova politica del penultimo piano quinquennale, ovvero la scelta di concentrarsi sui consumi (mercato) interni e non essere più la "fabbrica del mondo".  Una scelta che tuttavia non poteva tener conto della crisi mondiale scoppiata dal 2008 e che ha ridotto l'export cinese (perché all'estero comprano meno). Un export che è diminuito anche perché la rivalutazione dello Yuan degli ultimi anni, necessaria per creare un paese forte ha reso meno competitivi i prodotti cinesi che risentono della concorrenza dei paesi vicini, ma anche di una nuova produzione dei paesi occidentali sempre meno lontana come prezzi e qualitativamente molto superiore.  
Quindi la scelta di sviluppare il mercato interno (consumi) a scapito dell'export ha subito qualche rallentamento sia per i motivi sopra enunciati e sia per le difficoltà del mercato interno stesso.
La Cina resta tuttavia una economia in crescita, anche se in misura minore rispetto al passato. Resta senza dubbio un mercato su cui scommettere. Ma la strategia di approccio deve tener conto dei tempi che cambiano.  
Certi scossoni non devono pregiudicare la politica di penetrazione delle aziende straniere, che comunque ha tempi medio lunghi; per cui è nel medio e lungo peroido che si devono fare le valutazioni. Ovviamente tenendo ben presente più che gli eventi, le cause che hanno determinato certi eventi.
Parlando della svalutazione dello Yuan probabilmente è più un problema speculativo,  o "guerra" finanziaria, viste le riserve in mano agli USA. Naturalmente è una svalutazione salutare che serve anche per poter incrementare l'export cinese, vista anche la riduzione degli investimenti stranieri. E' una svalutazione che forse riporta il valore della moneta sui numeri più vicini alla realtà. D'altronde un paese pieno di contraddizioni come la Cina ha forse maggiori difficoltà (volute dal governo steso !) nel valutare l'effettivo valore di una valuta. E' analizzando i dati reali del paese che si notano le contraddizioni : da una bolla immobiliare incredibile con numeri da società evoluta, ad un reddito annuo pro-capite da paese in via di sviluppo; da un indebitamento delle municipalità al ridursi del risparmio delle famiglie cinesi. A fronte di 200 milioni di ricchi ci sono 800,000 poveri e tanti altri dati noti.
Comunque la Cina resta un paese su cui scommettere ed investire, ma sempre a condizione  che si affronti con una strategia e preparazione adeguata, probabilmente unica rispetto ad altri paesi.
Nessun allarmismo, quindi, ma sempre molta attenzione e presenza stabile sul  territorio in modo da avere sempre sotto controllo, direttamente e senza filtri,  la reale situazione del paese..

venerdì 13 febbraio 2015

Firenze ... una città dello Zhejiang

Firenze una città della Provincia di Zhejiang !

Nell'immaginario collettivo, e non solo, l'Italia deve diventare terra catalizzatrice di investimenti stranieri, soprattutto cinesi ! La Cina rappresenta la nuova America. Firenze, anche in ragione della sua popolarità mondiale, può essere la punta di diamante per l'attrazione degli investimenti cinesi.
Ma nell'immaginario collettivo italiano l'investimento cinese è sinonimo di vendita, e vista la situazione immobiliare e commerciale italiana la vendita avviene a prezzi di "liquidazione,  talvolta tramite giudice fallimentare !
Il cinese più che investitore è uno speculatore con soldi liquidi.

Perché la Cina ?
Tutti gli sforzi "istituzionali" si rivolgono alla Cina. I motivi sono ben noti a tutti. E' un Paese che ha numeri interessanti e unici: come numero di abitanti, come crescita del PIL, come numero di turisti, come capacità di investimento, come crescita che negli ultimi anni non ha mai frenato anche se talvolta rallentato, ma sono "febbriciattole" di crescita, si direbbe di un bambino.
Ma l'interesse verso la Cina è anche dato dal fatto che forse ancora oggi non si è creato qualcosa di stabile e concreto che possa assicurare con certezza la possibilità di sfruttare quei numeri che sicuramente in prospettiva saranno "impressionanti", ma che già ora sono notevoli e visibili.
Il successo spesso è legato ad iniziative pioneristiche o di alcune eccellenze più che di un sistema collaudato ed organizzato dove le singole aziende si possono inserire.

Ci si domanda allora: cosa manca ?
I dati sono sotto gli occhi tutti. La presenza Cinese in Italia è notevole (100,000 circa solo nell'area fiorentina) e molto attiva nel campo commerciale e non solo. I fondi cinesi, o di Hong Kong (espressione di realtà cinesi), investono in tutto il mondo; l'Africa ed il Sud-America sono terre di conquista dei cinesi per le materie prime; l'Europa è vista come continente per investire (ed ora si compra veramente bene) per il settore immobiliare (anche per ottenere permessi di soggiorno) e del turismo (nuovo business anche in Cina degli ultimi 18 anni). Non c'è settore commerciale o merceologico a cui la Cina non guardi: eno-agro-alimentare, moda, arredamento, arte, musica e spettacolo, formazione, sport, eccetera. Settori dove il nostro Paese talvolta è leader mondiale, basti pensare ad esempio alla moda, all'arte, al vino. Eppure è come se la scintilla non fosse mai scoppiata o almeno come se lo scoppio fosse imminente, ma tardasse ad arrivare.
I business tra Italia e Cina sono per lo più gestiti da cinesi residenti in italia. Le aziende italiane non sono soddisfatte dei rapporti commerciali con la Cina (salvo rare eccezioni). Le nostre istituzioni rimandano ai prossimi anni il boom cinese per l'Italia attendendo quasi che la situazione venga sbloccata dai cinesi, i quali, dal canto loro, manifestano la volontà di sbloccare promettendo grandi investimenti, indotto di lavoro e servizi per tutti, ma in realtà hanno una organizzazione interna che non prevede grandi spazi o ruoli decisionali per realtà "straniere".

Cosa avviene quindi ?
La realtà è un'altra. Mentre noi italiani:parliamo, facciamo riunioni, missioni, accordi quadro, riesumiamo progetti falliti appena qualche anno prima con nuovi nomi e facce, ma sempre "non operativi"; i cinesi lavorano, investono, rischiano, producono, guadagnano e fanno quello che noi dovremmo fare, ma che "esitiamo" a fare, e, in modo masochista, preferiamo lasciar fare ad altri autorizzando così gli altri ad avere successo a spese nostre.
Ed ecco che i cinesi rafforzano la presenza nel territorio italiano, arrivando a creare un Made in Italy cinese esportato in Cina (legale), ma anche un Made in Italy di grandi marche fatto in Cina importato in Italia (illegale) entrambi con fatturati da capogiro e due volte dannoso per la nostra economia e per le nostre aziende. Nel primo caso (legale) perché dovremmo essere noi a produrre, promuovere e vendere il vero Made in Italy che non sia solo prodotto ma anche storia, cultura e "radici"; nel secondo caso (illegale) perché, come ha detto il Procuratore Generale Creazzo in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, "mette in pericolo la parte migliore del nostro Made in Italy" ed è una operazione chiaramente criminale. Ma in entrambi i casi siamo responsabili di una mancanza di controllo e gestione che troppo facilmente viene lasciata o delegata ai cinesi (sia da parte delle aziende che da parte delle istituzioni) pensando che un atteggiamento troppo rigido precluda i rapporti con la Cina e lo sviluppo del mercato interno (è la politica su cui hanno lavorato da sempre la "preparatissima" classe dirigente cinese).

La realtà è che la Cina vuole essere "indipendente" ed unico attore nei rapporti e nello sviluppo con i Paesi esteri. Le collaborazioni sono talvolta necessarie per i i cinesi, ma solo propedeutiche alla propria crescita e sviluppo finalizzata alla gestione totale dell'attività. E ciò avviene sia per lo sviluppo del mercato interno che per quello estero.
Anche i settori emergenti come servizi, formazione, turismo seguono questa logica e vengono svolti in proprio con proprie strutture e propri investimenti. Soprattutto adesso che il vecchio continente (e soprattutto l'Italia) si acquista con poco, ed è questo il pericolo maggiore.

Firenze e l'Italia allora rischiano di diventare una Provincia della Zhejiang, questa almeno sembra la direzione, con la giustificazione che i cinesi hanno i capitali e sono i nuovi ricchi..
Sarebbe meglio creare una realtà forte, solida, finanziariamente indipendente, compatta capace di avere una forza contrattuale forte e dialogare e vendere si, ma al prezzo giusto,
Controllare e non delegare ciò che si è creato con i secoli e che in poco tempo può essere cancellato o svilito. Serve la volontà e la convinzione di fare tutto ciò, mentre da più parti affiora lo scoraggiamento e la voglia di mollare.

Ci sono esempi di chi riesce a non vendere a stock o con ribassi al 70% per sopravvivere qualche anno, ma a vendere a prezzi alti ed è il caso di Giappone, Germania, Francia, Inghilterra, Svezia, Svizzera, USA, Canada, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, ecc.
Vendere si, ma cercando di creare un futuro, magari un nuovo socio, una possibilità di crescere.

Non si tratta di entrare in conflitto con i cinesi (talvolta può accadere per far valere i propri diritti) ma di proporre e imporre uno stile di vita di rapporto.
Si tratta di capire la mentalità cinese, ma mantenere la propria identità mediando.
Si tratta di investire, perché è investendo che si ottiene un ritorno, non deprezzando il proprio prodotto o servizio.
Si tratta di attaccare ed andare nel loro mercato per capire, come hanno fatto loro, ma in modo organizzato e continuativo, non aspettare l'investitore a casa.

A me piace sempre ricordare il caso della Geely (casa automobilistica cinese di una certa importanza) il cui responsabile dei mercati esteri è un caro amico, già amico di mio padre dal 1982. Non riuscendo ad entrare in Europa  trovando l'opposizione della case automobilistiche europee, che vedono nella Geely un concorrente per auto low cost soprattutto per il segmento City Car, Geely ha pensato bene di acquistare qualche anno fa la Volvo rilevando le azioni di maggioranza.
Questo è avvenuto perché la Volvo è da sempre presente in Cina soprattutto sin dall'inizio con i bus tipo granturismo utilizzati dai cinesi per i lunghi spostamenti da città a città prima che prendesse campo l'alta velocità, ma comunque ancora oggi molto utilizzati.
La presenza della Volvo in Cina (investimento) è stata una politica di penetrazione (presenza duratura negli anni) che ha permesso ai possibili partner cinesi di verificarne l'efficienza e la serietà e di stringere rapporti (è più facile stringere rapporti con chi si vede e testa tutti i giorni piuttosto che con chi sta dall'altra parte del mondo) e così la scelta di una società seria per entrare in Europa (ma anche per imparare a fare auto grandi e di lusso) è ricaduta sulla Volvo che ha mantenuto negli anni una politica in Cina basata sulla continuità. E non è un caso che non si siano rivolti alla FIAT !

Questa regola vale per tutti i settori e per tutte le dimensioni, non solo per le grandi realtà.

Facciamo in modo che Firenze e l'Italia non diventi una Provincia cinese.