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lunedì 13 giugno 2011

Il sistema politico in Cina: una dittatura democratica

L'evento referendario di ieri ed oggi  in Italia  mi ha portato a fare alcune riflessioni sul sistema politico, economico e sociale cinese e paragonarlo al nostro.

Questi sono i primi 3 articoli della costituzione cinese:


Articolo 1. La Repubblica popolare cinese è uno Stato socialista a dittatura del
proletariato, diretto dalla classe operaia e basato sull’alleanza degli operai e dei
contadini.
Articolo 2. Il Partito comunista cinese è il nucleo dirigente dell’intero popolo
cinese. La classe operaia esercita la direzione sullo Stato attraverso la sua
avanguardia, il Partito comunista cinese.
Il marxismo-leninismo-maoismo costituisce la base teorica che guida il pensiero
della nostra nazione.
Articolo 3. Tutto il potere della Repubblica popolare cinese appartiene al popolo.
Gli organi attraverso i quali il popolo esercita il potere sono le assemblee popolari
ai diversi livelli, composte principalmente di deputati operai, contadini e soldati.
Le assemblee popolari ai diversi livelli e tutti gli altri organi dello Stato praticano
il centralismo democratico.
I deputati alle assemblee popolari ai diversi livelli sono eletti attraverso
consultazioni democratiche. Le unità elettorali e gli elettori hanno il diritto di
esercitare il controllo sui deputati da essi eletti e di destituirli in qualunque
momento in conformità con le disposizioni di legge.

Senza entrare troppo nel campo della scienza della politica,  è fin troppo evidente che alcuni termini (volutamente inseriti) non vanno d'accordo con altri,: dittatura con democrazia, consultazioni democratiche con assenza di elezioni per il popolo (non parliamo di referendum, chissà quando ci arriveranno)ed altro ancora.
Per non parlare poi dei diritti civili e della pena di morte (sulla quale la Cina sta seriamente considerando la possibilità di eliminarla) nonché delle libertà individuali non sempre garantite e tutelate, almeno non in tutte le province.

Tuttavia il mondo moderno è molto attratto e affascinato (talvolta preoccupato) dalla Cina per l'aspetto economico, ma molto meno interesse lo dedica all'analisi ed allo studio delle problematiche sociali (tutela delle minoranze) e alla tutela dei diritti fondamentali (diritto alla vita, diritto al voto, diritto di libertà di culto, ecc.).
Siamo "egoisticamente" interessati affinché la Cina osservi le regoli del WTO ad esempio sulla reciprocità dell'applicazione dei dazi sui prodotti importati, o che non faccia operazioni di dumping, o che osservi la legge sulla tutela della proprietà intellettuale,  insomma su tutte quelle inosservanze dei regolamenti economici che possono danneggiare la nostra economia, ma un interesse minore è dedicato a capire problematiche quali: la sicurezza dei posti di lavoro (fabbriche, cantieri),  la tutela delle minoranze etniche, la condizione dei carcerati, eccetera.

Ma se valutiamo una realtà come la Cina, con le sue radici storico-culturali di 5,000 anni, considerando però il periodo della Repubblica, dal 1949 a oggi,   e, ad esempio, lo confrontiamo alla nostra realtà con la nostra storia partendo dallo stesso periodo ci rendiamo conto di quanti passi avanti hanno fatto i cinesi e quanti passi indietro abbiamo fatto noi.

Entrambi i Paesi hanno affrontato una guerra, la Cina forse meno violenta e distruttiva della nostra, ma ha avuto oltre quindici anni di guerra civile.
Noi, aiutati anche dagli USA e dal Piano Marshall, abbiamo potuto ripartire e crescere fino al  boom economico degli anni '60. La Cina di fatto è stata isolata per buona parte del primo ventennio dalla nascita della Repubblica.
L'Italia, aiutata anche dalla collaborazione con i Paesi dell'Europa Occidentale, ha comunque potuto costruire la propria crescita basandosi anche su una forte formazione, tradizione e cultura nel campo giuridico che ha permesso di creare regole certe per uno sviluppo ordinato e democratico. La Cina non aveva culturalmente una base giuridica o tradizione di regole scritte ed ha cominciato a darsi regole scritte sullo stile occidentale negli anni '80. Basti pensare che il Codice civile è stato fatto nel 1986 ed erano 150 articoli di principi generali. Poi nel  1992 è stato approfondito con leggi commerciali per aziende, navigazione eccetera.

Quindi la Cina è uno stato di diritto giovane, che deve controllare una territorio 30 volte più grande dell'Italia, con 56 gruppi etnici, ma la crescita dell'ultimo ventennio soprattutto dopo i tragici fatti di  Piazza Tien An Men del 1989 è stata forte ed in tutti i settori: economico, sociale, giuridico.
Certo la crescita è stata, rapida, programmata, voluta, inarrestabile, condivisa dalla popolazione, ma che ha sicuramente fatto delle vittime, ha avuto deviazioni nella corruzione, nell'ingiustizia sociale, non sempre nel rispetto delle minoranze.

Il nostro Paese ha subito una involuzione evidente in tutti i campi: politico, morale,  economico, eccetera. Ed anche la tanto rivendicata democrazia e libertà sembra in realtà servire e tutelare pochi eletti (per lo più i soliti). Siamo un Paese vecchio, apparentemente democratico, gestito dai soliti,  vecchi, che comandano senza lasciare spazio ai giovani.

La Cina ha avuto una rapida crescita economico-sociale a scapito di una più lenta apertura democratica, e forse non poteva essere altrimenti, ma è un Paese giovane, gestito da uomini esperti di mezza età, che lascia spazio e valorizza i giovani.

Il merito di Mao e dei suoi successori è stato sicuramente quello di coltivare e far crescere la coscienza di nazione. Prima di tutto la Cina ! Cina in cinese si dice Zhong Huo che significa Paese di Mezzo cioè al centro del mondo. Quindi per il cinese prima di tutto viene la Cina poi il resto.
Con il tempo la Cina sarà meno dittatura, più democrazia, ma manterrà  quella continuità e quel legame con il passato che rappresentano le radici e le fondamenta della Cina futura. Si può essere certi che quando il popolo avrà una coscienza democratica matura non tradirà il suo Paese di cui è orgoglioso di appartenere.

E così, forse, anche noi italiani dovremmo prima di tutto assumere questa consapevolezza e tornare ad essere come qualche decennio fa, orgogliosi di essere italiani, più che azzuffarsi e screditarsi a vicenda come avviene adesso.
Anche noi dovremmo superare i nostri egoismi, le nostre piccole e inutili rivalità e seguire quel proverbio cinese che dice:
"La goccia d'acqua del fiume non si chiede quanto sia utile la sua esistenza. Essa è il fiume"

domenica 5 giugno 2011

Gli accordi di cooperazione commerciale con la Cina rappresentano una reale opportunità per i Paesi esteri ?

Da quando la Cina si aperta al mondo, con la politica delle Porte Aperte alla fine degli anni '70, ha intensificato una attività che già portava avanti da anni e cioè quella dello scambio di visite diplomatiche e commerciali e la sigla di trattati di cooperazione commerciale.
Spesso per noi occidentali la visita di queste delegazioni numerose e la sigla di accordi (volutamente) vaghi sembrano avere poca concretezza e non un risultato immediato.
Quando poi questi accordi, e le successive visite, assumono aspetti più concreti si nota come la politica della cooperazione basata sullo "scambio" di servizi e know how sia apparentemente sbilanciata a vantaggio della parte cinese. Così, spesso, a fronte di un accordo di cooperazione si vede che la parte occidentale apporta il know how tecnologico e la parte cinese i vantaggi logistici, operativi, talvolta legislativi per operare in terra cinese. In sintesi si potrebbe dire che, in modo trasversale per i più disparati settori merceologici, la cooperazione cinese con i Paesi stranieri è basata sulla formula : "Tu straniero cedi know how... insegna a migliorare un nostro prodotto o un nostro servizio.... e noi, Cina, ti facilitiamo l'apertura del mercato cinese, garantendoti il "non ostacolo" o "limitazione" all'ingresso dato dalla burocrazia cinese (dogana, leggi e regolamenti speciali, tassazione, limitazione per investimenti stranieri)".
E in effetti è così. Per aprire il mercato cinese serve un partner cinese che sposi e creda nel progetto, ma soprattutto nel partner straniero. Ed è in quest'ottica che si devono leggere gli accordi di cooperazione commerciale, ma anche gli accordi di amicizia, i gemellaggi fra le città cinesi e straniere, gli scambi di visite istituzionali. Non dobbiamo mai aspettarci che un evento in Cina produca un effetto immediato. E' sempre parte di una strategia che ha i suoi tempi, sia che ci si muova a livello istituzionale, sia che riguardi rapporti  commerciali fra PMI. Ogni incontro è una tappa, un tassello che serve a creare quel rapporto solido basato sulla fiducia e sul rispetto in primis, poi sulla convenienza reciproca.
Ma il trovare il partner "vero" è in realtà un punto di arrivo. E' come fidanzarsi per poi sposarsi. Non possiamo dire, noi aziende italiane,  vado in Cina con l'obiettivo di fare una Join Venture. Dobbiamo dire vado in Cina per capire il mercato che è il mercato del futuro, al fine di addivenire alla creazione di una Joint Venture quando avrò trovato il partner giusto. Questa fase ha i suoi tempi; e non sono tempi brevi.
Quindi il trovare il partner commerciale giusto in Cina è un punto di arrivo e non di partenza !!!
Alla luce di tutto ciò è più facile capire la logica di missioni, accordi di amicizia, accordi di collaborazione, accordi quadro di cooperazione commerciale che alla lettura sembrano troppo generici.
Molti, anche in Italia, si chiedono quanto sia utile alle aziende italiane (specie in settori come Hi Tech) o quanto invece ci sia il rischio di essere copiati e di fornire solo utili informazioni e dati alla parte cinese.
Il rischio di essere copiati c'è, ed è alto. Ma lo è ancora di più se non si cerca di regolarizzarlo con accordi e con collaborazioni dove almeno possiamo ottenere un vantaggio. Tuttavia per copiare tecnologia, copiare prodotti di tutti i generi, copiare i nomi ed i Brands, la parte cinese che lo vuol fare non ha bisogno certo di accordi. Basta acquistare un prodotto, o meglio un manager ! Infatti quasi sempre dietro alla copia, al falso, al furto di marchi e brevetti in genere c'è da un lato la negligenza dell'azienda italiana che non ha provveduto alle registrazioni e relative tutele che il diritto internazionale offre e da un altro lato c'è quasi sempre la connivenza e collaborazione di qualche figura occidentale esperta del settore.
Allora ben vengano gli accordi di collaborazione, di amicizia, commerciali, di scambio di know how. Senza paura affrontiamo il mercato ma.... in attacco ! Cogliamo l'opportunità, senza paura, senza timore di essere copiati, d'altronde il tentativo di essere copiati deve essere motivo di orgoglio ! Vuol dire che siamo interessanti per la parte cinese. Siamo noi che dobbiamo cogliere l'occasione e cercare di ottenere qualcosa per fare un passo ed entrare nel mercato.
Tutto in Cina passa da accordi di collaborazione e contratti e questi, quando sono firmati, hanno un valore, anche in Cina.
Tuteliamo la proprietà intellettuale, i marchi, i brevetti, i nostri interessi ma non affrontiamo il mondo cinese con paura e prevenzione intellettuale.
Spesso noi italiani siamo impreparati, ma quando affrontiamo managers cinesi, spesso giovani e dall'aspetto mite, non dobbiamo farsi ingannare dalle apparenze: sono preparatissimi e spesso non sono mai usciti dalla Cina, ma sanno affrontare managers stranieri con una abilità e strategia commerciale da consumati uomini d'affari.d'occidente. Chi emerge in Cina a certi livelli ha veramente i numeri. D'altronde la selezione comincia già da piccoli ed il primo esame lo hanno a soli 3 anni e, in base all'esito, già si decide parte del loro futuro in quanto verranno assegnati scuole di diverso livello.

La Cina da sempre crede nella politica degli accordi di collaborazione. Questa politica le ha permesso di fare la crescita che ha fatto, che altrimenti da sola non avrebbe mai realizzato. I Paesi stranieri che hanno collaborato e poi seguito attivamente ed in loco questi accordi nel corso degli ultimi 30 anni si sono ritagliati fette di mercato di sicuro interesse e vitali per l'economia del loro Paese (penso alla Germania, la Francia, il Giappone, gli USA, l'Australia, il Cile, ed altri ancora).
L'Italia è pigra sia nelle attività che negli investimenti e questo purtroppo si nota in Cina. Noi abbiamo qualcosa che altri non hanno, ma presto nuovi Paesi entreranno in competizione con noi e penso all'Africa dove la Cina si sta inserendo sempre più prepotentemente (anche alla ricerca delle materie prime).
La politica cinese degli accordi sembra seguire la logica di un proverbio cinese che recita:
"Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita"

Noi Italia dobbiamo "insegnare a pescare" alla Cina nei settori dove siamo forti e da loro ricercati, ma poi dobbiamo continuare a pescare con loro.