Firenze una
città della Provincia di Zhejiang !
Nell'immaginario
collettivo, e non solo, l'Italia deve diventare terra catalizzatrice
di investimenti stranieri, soprattutto cinesi ! La Cina rappresenta
la nuova America. Firenze, anche in ragione della sua popolarità
mondiale, può essere la punta di diamante per l'attrazione degli
investimenti cinesi.
Ma
nell'immaginario collettivo italiano l'investimento cinese è
sinonimo di vendita, e vista la situazione immobiliare e commerciale
italiana la vendita avviene a prezzi di "liquidazione, talvolta tramite giudice fallimentare !
Il cinese
più che investitore è uno speculatore con soldi liquidi.
Perché la
Cina ?
Tutti gli
sforzi "istituzionali" si rivolgono alla Cina. I motivi sono ben noti a tutti. E' un Paese che ha numeri interessanti e
unici: come numero di abitanti, come crescita del PIL, come numero di
turisti, come capacità di investimento, come crescita che negli
ultimi anni non ha mai frenato anche se talvolta rallentato, ma sono
"febbriciattole" di crescita, si direbbe di un bambino.
Ma
l'interesse verso la Cina è anche dato dal fatto che forse ancora oggi non si è creato qualcosa di stabile e concreto che possa
assicurare con certezza la possibilità di sfruttare quei numeri che
sicuramente in prospettiva saranno "impressionanti", ma che
già ora sono notevoli e visibili.
Il successo
spesso è legato ad iniziative pioneristiche o di alcune eccellenze
più che di un sistema collaudato ed organizzato dove le
singole aziende si possono inserire.
Ci si
domanda allora: cosa manca ?
I dati sono
sotto gli occhi tutti. La presenza Cinese in Italia è notevole
(100,000 circa solo nell'area fiorentina) e molto attiva nel campo
commerciale e non solo. I fondi cinesi, o di Hong Kong (espressione
di realtà cinesi), investono in tutto il mondo; l'Africa ed il Sud-America sono terre di conquista dei cinesi per le materie prime;
l'Europa è vista come continente per investire (ed ora si compra
veramente bene) per il settore immobiliare (anche per ottenere
permessi di soggiorno) e del turismo (nuovo business anche in Cina
degli ultimi 18 anni). Non c'è
settore commerciale o merceologico a cui la Cina non guardi:
eno-agro-alimentare, moda, arredamento, arte, musica e spettacolo,
formazione, sport, eccetera. Settori dove il nostro Paese talvolta è
leader mondiale, basti pensare ad esempio alla moda, all'arte, al vino. Eppure
è come se la scintilla non fosse mai scoppiata o almeno come se lo
scoppio fosse imminente, ma tardasse ad arrivare.
I business
tra Italia e Cina sono per lo più gestiti da cinesi residenti in
italia. Le aziende italiane non sono soddisfatte dei rapporti
commerciali con la Cina (salvo rare eccezioni). Le nostre
istituzioni rimandano ai prossimi anni il boom cinese per l'Italia
attendendo quasi che la situazione venga sbloccata dai cinesi, i quali, dal canto loro, manifestano la volontà di sbloccare
promettendo grandi investimenti, indotto di lavoro e servizi per
tutti, ma in realtà hanno una organizzazione interna che non prevede
grandi spazi o ruoli decisionali per realtà "straniere".
Cosa avviene
quindi ?
La realtà è
un'altra. Mentre noi italiani:parliamo, facciamo riunioni, missioni,
accordi quadro, riesumiamo progetti falliti appena qualche anno prima
con nuovi nomi e facce, ma sempre "non operativi";
i cinesi lavorano, investono, rischiano, producono, guadagnano e
fanno quello che noi dovremmo fare, ma che "esitiamo" a
fare, e, in modo masochista, preferiamo lasciar fare ad altri
autorizzando così gli altri ad avere successo a spese nostre.
Ed ecco che
i cinesi rafforzano la presenza nel territorio italiano, arrivando a
creare un Made in Italy cinese esportato in Cina (legale), ma anche
un Made in Italy di grandi marche fatto in Cina importato in Italia
(illegale) entrambi con fatturati da capogiro e due volte dannoso per
la nostra economia e per le nostre aziende. Nel primo caso (legale)
perché dovremmo essere noi a produrre, promuovere e vendere il vero
Made in Italy che non sia solo prodotto ma anche storia, cultura e
"radici"; nel secondo caso (illegale) perché, come ha
detto il Procuratore Generale Creazzo in occasione dell'apertura
dell'anno giudiziario, "mette in pericolo la parte migliore del
nostro Made in Italy" ed è una operazione chiaramente
criminale. Ma in entrambi i casi siamo responsabili di una mancanza
di controllo e gestione che troppo facilmente viene lasciata o
delegata ai cinesi (sia da parte delle aziende che da parte delle
istituzioni) pensando che un atteggiamento troppo rigido precluda i
rapporti con la Cina e lo sviluppo del mercato interno (è la
politica su cui hanno lavorato da sempre la "preparatissima"
classe dirigente cinese).
La
realtà è che la Cina vuole essere "indipendente" ed unico
attore nei rapporti e nello sviluppo con i Paesi esteri. Le
collaborazioni sono talvolta necessarie per i i cinesi, ma solo
propedeutiche alla propria crescita e sviluppo finalizzata alla
gestione totale dell'attività. E ciò avviene sia per lo sviluppo
del mercato interno che per quello estero.
Anche
i settori emergenti come servizi, formazione, turismo seguono questa
logica e vengono svolti in proprio con proprie strutture e propri
investimenti. Soprattutto adesso che il vecchio continente (e
soprattutto l'Italia) si acquista con poco, ed è questo il pericolo
maggiore.
Firenze
e l'Italia allora rischiano di diventare una Provincia della
Zhejiang, questa almeno sembra la direzione, con la giustificazione
che i cinesi hanno i capitali e sono i nuovi ricchi..
Sarebbe
meglio creare una realtà forte, solida, finanziariamente
indipendente, compatta capace di avere una forza contrattuale forte e
dialogare e vendere si, ma al prezzo giusto,
Controllare
e non delegare ciò che si è creato con i secoli e che in poco tempo
può essere cancellato o svilito. Serve la volontà e la convinzione
di fare tutto ciò, mentre da più parti affiora lo scoraggiamento e
la voglia di mollare.
Ci
sono esempi di chi riesce a non vendere a stock o con ribassi al 70%
per sopravvivere qualche anno, ma a vendere a prezzi alti ed è il
caso di Giappone, Germania, Francia, Inghilterra, Svezia, Svizzera,
USA, Canada, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, ecc.
Vendere
si, ma cercando di creare un futuro, magari un nuovo socio, una
possibilità di crescere.
Non
si tratta di entrare in conflitto con i cinesi (talvolta può
accadere per far valere i propri diritti) ma di proporre e imporre
uno stile di vita di rapporto.
Si
tratta di capire la mentalità cinese, ma mantenere la propria
identità mediando.
Si
tratta di investire, perché è investendo che si ottiene un ritorno,
non deprezzando il proprio prodotto o servizio.
Si
tratta di attaccare ed andare nel loro mercato per capire, come hanno
fatto loro, ma in modo organizzato e continuativo, non aspettare
l'investitore a casa.
A
me piace sempre ricordare il caso della Geely (casa automobilistica
cinese di una certa importanza) il cui responsabile dei mercati
esteri è un caro amico, già amico di mio padre dal 1982. Non
riuscendo ad entrare in Europa trovando l'opposizione della case
automobilistiche europee, che vedono nella Geely un concorrente per
auto low cost soprattutto per il segmento City Car, Geely ha pensato
bene di acquistare qualche anno fa la Volvo rilevando le azioni di maggioranza.
Questo
è avvenuto perché la Volvo è da sempre presente in Cina
soprattutto sin dall'inizio con i bus tipo granturismo utilizzati dai
cinesi per i lunghi spostamenti da città a città prima che
prendesse campo l'alta velocità, ma comunque ancora oggi molto
utilizzati.
La presenza della Volvo in Cina (investimento) è stata una politica
di penetrazione (presenza duratura negli anni) che ha permesso ai
possibili partner cinesi di verificarne l'efficienza e la serietà e
di stringere rapporti (è più facile stringere rapporti con chi si
vede e testa tutti i giorni piuttosto che con chi sta dall'altra
parte del mondo) e così la scelta di una società seria per entrare
in Europa (ma anche per imparare a fare auto grandi e di lusso) è
ricaduta sulla Volvo che ha mantenuto negli anni una politica in Cina
basata sulla continuità. E non è un caso che non si siano rivolti
alla FIAT !
Questa
regola vale per tutti i settori e per tutte le dimensioni, non solo
per le grandi realtà.
Facciamo
in modo che Firenze e l'Italia non diventi una Provincia cinese.
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