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martedì 3 giugno 2014

Marco Polo di Toscana: 25° anniversario della protesta di piazza Tienanme...

Marco Polo di Toscana: 25° anniversario della protesta di piazza Tienanme...: La sera del 3 giugno del 1989 l'esercito della Repubblica Popolare Cinese arrivato alla Provincia cominciò a sparare sui manifestanti  ...

25° anniversario della protesta di piazza Tienanmen

La sera del 3 giugno del 1989 l'esercito della Repubblica Popolare Cinese arrivato alla Provincia cominciò a sparare sui manifestanti  (dopo due mesi di proteste) nei d'intorni di Piazza Tienanmen a Pechino e fu un massacro.
Forse non sapremo mai le cifre esatte dei morti. Esiste una forte discrepanza fra le cifre del Governo cinese e quelle delle fonti straniere. Il Governo cinese parlò di 200 vittime fra i civili e 100 fra i soldati, la CIA di circa 800 vittime, ma la Croce Rossa stimò in circa 2600 le vittime e 30,000 i feriti e temo che questi ultimi dati fossero quelli più veritieri.
In quegli anni ero ancora studente e stavo finendo l'università e già cominciavo a lavorare sulla tesi che appunto era sulla Cina ("Gli scambi economici fra Italia e Cina dal 1979 al 1989 con particolare riferimento alla Toscana") e ne parlavo spesso con il mio professore, divenuto poi un caro amico (Renzo Rastrelli sinologo convinto purtroppo prematuramente scomparso nel 2008).
Tuttavia vivevo direttamente questa tragedia dal momento che mio padre operava direttamente con la Cina dal 1980 con  frequenti e lunghi soggiorni. Una tradizione, quella del commercio con la Cina, ereditata da mio nonno che importava trecce di paglia già dal 1947 per cucire i cappelli di paglia di Firenze destinati ai mercati anglosassoni.
Fu un black out di quasi un anno. In molti casi le relazioni si interruppero, in altri casi si rallentarono drasticamente. La Cina dovette fare i conti al suo interno ed il "democratico" Deng Xiaopin dovette far leva sull'aspetto militare/dittatoriale (simile alla gestione Mao) del suo governo  per continuare la politica di crescita iniziata nel 1979 (dopo l'apertura al mondo occidentale). L'opinione pubblica internazionale "nemica" colse l'occasione per cercare di indebolire la forte economia cinese in ascesa, mentre quella "amica" si impaurì temendo che la gestione politica cinese fosse simile a quella sovietica del dopoguerra.
Venticinque anni dopo il tempo sembra aver sbiadito i ricordi e la gente, i politici, le istituzioni, i giornali quando parlano della Cina ne esaltano la crescita economica gli obiettivi raggiunti, ma non parla di quel tragico evento. Eppure, oggi in Cina, sono  numerosissimi i focolai di rivolta sopratutto in quelle Province dove l'etnia predominante non è cinese Han (soprattutto nella Province di confine).
Nel 1989 il massacro fu annunciato e forse "auspicato" da forze straniere per rallentare la crescita cinese.
Un numero esiguo di studenti avevano manifestato in modo permanente davanti alla Città Proibita ed il governo attese 2 mesi prima di attuare la repressione armata. Gli studenti erano mossi da ideali occidentali e pensavano di emulare ciò che stava accadendo nell'Est Europa. Tuttavia, come era successo nell'Europa dell'Est con la Primavera di Praga ('69)  o  la rivolta di Budapest ('56), anche Pechino attuò il sistema repressivo tipico delle dittature (sinistra o destra sempre dittatura è) basato sul consenso "militare".
Oggi i focolai di ricolta hanno radici meno ideologiche e più "pratiche": si assaltano posti di Polizia accusando le strutture del luogo di corruzione; si combatte contro la pena di morte; si chiede un giusto processo; le minoranza etniche rivendicano gli stessi diritti politici e civili dei cinesi, eccetera. La finestra sul mondo che offre internet, i cinesi che cominciano a viaggiare, la massiccia presenza straniera sia come prodotti che come esseri umani insieme ai mezzi di informazione straniera presenti sul territorio cinese fanno si che la Cina usi la forza, ma in modo più intelligente e meno "impopolare". Così, forse, oggi la protesta di Tienanmen sarebbe stata gestita in modo diverso. Non si sarebbe verificato un massacro come nel 1989, ma si sarebbero utilizzati sistemi "sofisticati" di giudizio con condanne penali e carcere oppure arresti domiciliari, ma non esecuzioni di massa. Forse grazie anche ad un più evoluto codice penale e codice di procedura penale che nel 1989 ancora non era stato messo a punto. 
E d è quello che succedo oggi ai dissidenti politici, ai sacerdoti cristiano cattolici troppo intraprendenti, a stranieri troppo "invadenti". Se per il Governo cinese è più facile gestire oppositori stranieri (attraverso l'espulsione e vietando la concessione del visto di ingresso), per i dissidenti cinesi oppositori e critici del sistema la questione è più delicata proprio perché il mondo fuori controlla l'operato cinese sperando in un gesto alla Tienamen che possa classificare la Cina come Paese non affidabile e non garante dei diritti civili.
Così sappiamo poco o niente di repressioni a cattolici, missionari, oppositori politici, tibetani, eccetera. Gli organi di stampa ufficiali minimizzano i vari eventi  e quelli stranieri non sempre riescono ad individuare e comunque devono muoversi con cautela. Le informazioni arrivano da testimonianze dirette e fughe di notizie, ma ci sono. 
La Cina è una delle prime potenze mondiali e nel suo presente e futuro prossimo deve affrontare e risolvere due problemi su tutti che ne possono condizionare la crescita e l'ordine sociale al suo interno: la tutela dei diritti civili (libertà, giustizia, tutela delle minoranze etniche, diritti dei lavoratori, eccetera) ed l'inquinamento ovvero il "diritto alla salute", problema non da poco che condiziona non poco la vita quotidiana e le scelte delle nuove generazioni sempre più attente alla qualità della vita e da sempre attenti alla salute.

lunedì 3 marzo 2014

Semplicità e pragmatismo cinese

Mi domando spesso cos'è che rende il cinese uomo di successo e la Cina una economia in continua crescita che non conosce flessioni, se non per qualche rallentamento dovuto alla situazione mondiale o alla dinamica di crescita stessa. C'è qualcosa che noi occidentali possiamo "copiare" ai cinesi andando così in contro tendenza ? (è stimolante l'idea di copiare ai cinesi!).
Le ragioni della continua crescita cinese e dello stallo economico/mentale che vivono le economie occidentali non è solo giustificato dal fatto che la Cina deve raggiungere i nostri standard di vita sociale ed economica e che quindi deve necessariamente correre. Esiste, secondo me, una filosofia di vita, una mentalità che coinvolge tutti i livelli sociali del popolo cinese e che non è prerogativa dei più ricchi (o arricchiti) o dei più poveri ed è la mentalità e lo spirito nobile, l'orgoglio e lo spirito di appartenenza ad una nazione, la voglia di crescere e di non sentirsi mai arrivati uniti alla consapevolezza di poterci riuscire. Il tutto attraverso uno stile di vita basato sull'umiltà, la semplicità, il pragmatismo che ben traspare dai detti e proverbi cinesi o dai libri filosofici più antichi.
Questi elementi sembrano davvero essere  i fattori di continuità di un Paese che ha radici millenarie e che, tutto sommato, è lo stesso dalle prime dinastie, alla Cina moderna, passando per quella  (apparentemente) fase contraddittoria degli ultimi cento anni.
La semplicità è l'essenza dei proverbi cinesi e racchiudono verità talvolta date per scontate. Il pragmatismo cinese è ben espresso in uno di questi proverbi  tanto apprezzato da Deng Xiaoping  che spesso lo utilizzava nello spiegare la strategia che la Cina attuava verso l'occidente "Non importa se il gatto è bianco o nero purché acchiappi i topi".
Così è facile imbattersi in Cina in persone benestanti, ma dallo stile di vita semplice e che amano far vedere  
cosa hanno per un motivo ben preciso (affari, amicizia), ma con discrezione e non al solo scopo di "farsi notare". Mi è successo di conoscere una signora, per lavoro, il cui marito aveva la passione delle auto con un parco macchine di quasi 50 unità fra Ferrari, Rolls, Porsche, eccetera. Così come essere visitato in ufficio a Shanghai da un giovane, vestito in abiti sportivi,  che reputavo essere un manager di un grosso gruppo tessile cinese (se non il più grosso in Cina) per poi scoprire qualche giorno dopo nel meeting nei loro uffici essere il General Manager. Mi capita spesso di chiamare direttamente un industriale dell'acciaio consulente del Ministro che ha la passione del vino per vedersi di sabato a pranzo o a cena, ma con un preavviso di un giorno, senza passare da segretarie o lunghe attese. Il mio più caro amico di Pechino, che conosco da trent'anni, adesso è il responsabile per i mercati esteri (con salario stratosferico) di una delle prime case automobilistiche cinesi ed in pratica è sempre in giro per il mondo, ma è sempre reperibile con telefono e e-mail e disponibile per una cena se è in città quando sono in Cina. Potrei fare un elenco lunghissimo.
La semplicità ed il pragmatismo sono veramente la forza della Cina e ne danno testimonianza il successo delle realtà cinesi all'estero così come la crescita e l'evoluzione (non senza difficoltà) della Cina. 

mercoledì 16 ottobre 2013

Nababbi cinesi

Nell'elenco dei 100 personaggi più ricchi della Cina il primo, un costruttore, ha una patrimonio di circa 14 miliardi di dollari. In questo elenco dei più "invidiati" al mondo il più vecchio ha 82 anni (60a posizione) ed opera nel settore del carbone, la più giovane ne ha 32 (7a posizione) ed anche lei come il capo classifica opera nel settore real estate, ma la media è sui 50 anni. I settori di appartenenza di questi nababbi sono in maggior misura quelli del real estate, internet, automotive e delle energie rinnovabili.
Questi dati non sorprendono più di  tanto alla luce dell'evoluzione della Cina dal 1990.
Le ricchezze ammassate sono il frutto della rapida crescita dell'economia cinese negli ultimi 20 anni e spesso questi magnati hanno un'esperienza familiare e background Made in Hong Kong. In particolar modo il settore real estate è stato quello più redditizio soprattutto nel breve termine. Quando negli anni '90 Shanghai ha cominciato a svilupparsi c'erano aree come il Pudong dove si poteva acquistare appartamenti che a distanza di sei mesi vedevano letteralmente raddoppiato il loro valore in ragione del fatto che la città si stava allargando e con essa i servizi di comunicazione, centri commerciali, eccetera.
Anche il settore manifatturiero ha portato ricchezze soprattutto a quelle aziende che esportavano. Tuttavia per molti anni la ricchezza è rimasta in mano alle aziende di stato (oggi in crisi) che gestivano burocraticamente le esportazioni e le transazioni finanziarie.
Il settore auto, in fortissima crescita da anni, ha prodotto ricchezza e le Joint Ventures che ne sono nate hanno permesso l'arricchimento di cinesi privati in ragione del rapporto diretto con l'investitore estero.
Il settore comunicazioni, internet e telefonia, è un altro di quei settori che ha conosciuto vendite e transazioni incredibili. Di conseguenza ha permesso ad alcuni di accumulare ricchezze non indifferenti.

Cos'è che rende diverso il cinese straricco da figure simili di altri paesi ?

Sicuramente il basso profilo, la semplicità, l'essere diretti che è poi la forza di questo popolo.
Il numero uno dei cento più ricchi della Cina risponde tranquillamente  al cellulare !
Nei miei quasi 20 anni di Cina ho avuto modo di incontrare e parlare anche confidenzialmente con big boss, managers, investitori ai quali spesso non davo il valore che avevano proprio in ragione dell'atteggiamento semplice e talvolta informale (al di fuori degli incontri di affari) con cui si approcciavano, ma questi erano personaggi talvolta molto importanti e se talvolta giovani con grande potere. E' chiaro che queste figure non le incontri per la strada c'è sempre chi (cinese) mette la faccia per te e ti presenta in ragione del fatto che ti conosce, che può garantire per la tua serietà, che sei referenziato, eccetera. Ma una volta che sei nel cerchio e hai la fiducia non ci sono barriere anche con figure così "potenti".
Il cinese guarda se c'è l'affare e tratta direttamente e decide velocemente. Se ci crede, se ha fiducia e fiuta l'affare, conclude.

Oggi tutti si muovono verso la Cina: aziende, istituzioni, privati, cercando di incrociare uno dei questi ricchi e sperando così di "essere acquistati" (anche se la formula espressa è "ricerca di investitori") per la nostra azienda, per la nostra figura professionale o per il nostro Paese. Tuttavia i grossi investitori cinesi hanno una gamma di possibilità di scelta enorme. Ci sono Paesi, aziende, che offrono più garanzie di noi e questo è il punto che fa la differenza. Non è un caso che il Vino in Cina transiti dalla Svizzera ed il turismo cinese in Europa dalla Germania. E' una gap difficilmente colmabile.
Quello che ci rende lontani, poco interessanti alla Cina e deboli con i concorrenti stranieri è la scarsa capacità all'investimento. Pretendiamo di vendere in Cina, ma non investiamo sul nostro prodotto per farlo conoscere ai cinesi; pretendiamo di incentivare gli investimenti cinesi in Italia, ma non creiamo le condizioni per facilitare l'ingresso di questi investitori. Pretendiamo che l'investimento sia tutto a carico dell'altra parte.

Ecco che torniamo ai nababbi cinesi ed al fatto che essi per creare queste fortune hanno rischiato, investito, scommesso su loro stessi e sul loro Paese. Così se vogliamo fare accordi con queste figure dobbiamo dimostrare di rischiare, investire e scommettere sul nostro prodotto e/o sul nostro Paese. 
Basterebbe forse guardare indietro e rivedere cosa abbiamo fatto dal dopoguerra per almeno un ventennio.
L'esempio dei nostri padri può ancora insegnarci qualcosa.

martedì 1 ottobre 2013

1° ottobre festa nazionale in Cina, cari politici italiani meditate

Si celebra oggi in Cina la festa nazionale della Repubblica Popolare Cinese proclamata il 1° ottobre 1949. 
La Repubblica Popolare Cinese compie quindi 64 anni ed in questi anni (soprattutto negli ultimi venti) ha visto una crescita ed un cambiamento che non ha conosciuto rallentamenti. Da nuova Repubblica isolata dal mondo (nel 1949) si trova adesso ad essere tra le prime economie mondiali con la prospettiva e l'ambizione di essere la prima entro pochi anni. 
Guardando la Cina mi viene automatica una riflessione sull'Italia da dove siamo partiti a dove stiamo arrivando. Ammirando il successo della Cina annotiamo la nostra perdita di credibilità. Basta guardare cosa ha fatto la Cina per capire il suo successo e, purtroppo, constatare il nostro insuccesso dovuto ad azioni diametralmente opposte a quelle cinesi.
Per crescere la Cina ha  puntato sulla stabilità politica. Talvolta usando la forza per mantenerla a scapito dei diritti civili, ma a vantaggio di una crescita economica e sociale.
I piani quinquennali cinesi, nati emulando quelli Russi, hanno garantito la programmazione ed il raggiungimento dei risultati prefissati, ovviamente passando da aggiustamenti non indolore quali la rivoluzione culturale o le ultime politiche di Mao prima della morte, Tienanmen.
Il rapporto costruttivo con i Paesi esteri, anche quelli storicamente nemici, ha permesso alla Cina di cooperare per la crescita interna senza essere comprata o sfruttata dai Paesi più forti economicamente.
Lo spirito e l'orgoglio nazionale è, secondo me, la forza della Cina ed è quella continuità ed eredità che ha ricevuto e tramandato prima Mao poi Deng. La Cina che in cinese si dice 中国 Zhōngguó, letteralmente «Paese di Mezzo» o «Splendore del centro» da millenni si considera al centro del mondo e questa è la loro forza. Anche nei momenti di vera solitudine mondiale, soprattutto all'inizio della Repubblica, non si è mai sentita più debole di altri. 
In questa ostinata, ma giusta  programmatica politica di sviluppo la Cina ha ridotto l'analfabetismo e la povertà in un territorio che è un continente.
Guardando in casa nostra ci si accorge il perché l'Italia perde posizioni: instabilità politica, divisioni interni, mancanza di una programmazione politica/economica, ed altro ancora.
In Cina ci sono sicuramente degli elementi negativi dovuti sia ad una crescita rapida sia ad una politica che non permette deroghe al programma. Il partito unico ha prodotto corruzione; il sistema giuridico (peraltro acerbo perché nato dopo il 1980)  è fallace ed in continua evoluzione, fra l'altro ancora permane la pena di morte; la crescita economica e sociale c'è stata, ma è nata anche una minoranza politicamente e finanziariamente forte a scapito di una fascia di poveri che è quasi di 800 milioni. Probabilmente altre problematiche, tipiche dei Paesi sviluppati prenderanno il posto in Cina a quelle dei Paesi in Via di Sviluppo a cui fino ad ora hanno dovuto tener testa.

Resta il fatto che la Cina è in realtà  la vera culla e grande scuola della politica. E quando la politica funziona l'intero paese funziona. 
Un Paese che ha chiaro ciò che vuole essere e segue un piano ben preciso, ma non scopre le proprie carte (proprio come un esperto giocatore di poker). A scuola ed alle università si insegna l'arte del contrattare, dell'arrivare al proprio obiettivo senza un conflitto )che poi è quello che insegnava Sun Tzu nell'Arte della Guerra scritto nel V° secolo avanti Cristo ) e questo avviene quotidianamente in Cina basti guardare i rapporti politici, economici, internazionali in genere.
D'altronde è proprio il dettato costituzionale all'Art 1 e 2 il vero biglietto da visita della Cina. Si parla di Repubblica democratica, ma si parla anche di partito unico e di dittatura, il potere è del popolo, ma non ci sono elezioni popolari o referendum; all'art.4 si parla del rispetto delle minoranze etniche, e non credo che siano molto d'accordo in Tibet o Xinjinag !
Di fatto queste apparenti contraddizioni nascondono una chiara e netta volontà politica e la consapevolezza che si possa riaggiustare qualcosa in futuro senza stravolgere il principio fondamentale.
Allora, nonostante il crollo del muro di Berlino non si nega il comunismo, ma si dice che la Cina ha una via del comunismo che non è come quello Russo .
Mi viene in mente la frase di un carissimo amico di famiglia, cinese, che diceva che la Cina è come un'auto che mette la freccia a sinistra e gira  destra.

Mai come adesso come italiani dovremmo prendere esempio dalla Cina nello spirito nazionale, l'unità, l'orgoglio, la capacità di programmare per il resto abbiamo ancora molto da dare e non è un caso che ci sia una grande comunità cinese in Italia da decenni.




lunedì 5 agosto 2013

Crisi = Rischio + Opportunità



I cinesi 200 anni fa hanno coniato il termine Crisi unendo i due ideogrammi che vogliono dire Rischio e Opportunità.
In questo momento di forte recessione non è facile "sopravvivere" con gli strumenti tradizionali serve qualcosa di nuovo (Innovazione), serve lo studio per arrivare a questa innovazione (Ricerca) è necessario contenere i costi, ma non fermarsi, utilizzare quindi strumenti di marketing e visibilità low cost, ma sempre diretti sul mercato.

Se si parla di internazionalizzazione la cosa si complica. Cosa fare? Puntare su mercati tradizionali a basso contenuto di rischio, ma molto più concorrenziali o scommettere su mercati nuovi con minor concorrenza, ma ad alto rischio ? 
Credo serva un mix fra le due strategie. Come è possibile escludere a priori, ad esempio, se andare in USA o in CINA? 
Dobbiamo presenziare le due fasce di mercato.

E' adesso  in questa fase di forte crisi, non solo economica/finanziaria, ma anche di valori, di idee, di progetti, che  si misura la capacità dell'imprenditore che deve rischiare per avere nuove opportunità. Certamente non può stare fermo, ma nemmeno muoversi freneticamente e ciecamente in cerca di nuove opportunità.
Serve quella che fino a un paio di decenni fa veniva compensata dal boom economico: la programmazione.
Senza una oculata programmazione non si arriva ad una scelta che deve ridurre al minimo il rischio, che comunque deve esserci.

Anche la  Cina oggi attraversa una fase di recessione, e questa rappresenta una opportunità per le nostre aziende. Certamente c'è qualche rischio in più e qualche fatica in più (ma in Cina è sempre faticosa !) tuttavia una flessione  implica una maggiore apertura della Cina  verso i Paesi stranieri.. 
Il problema, come sempre, è soprattutto italiano: siamo piccoli, ma non vogliamo aggregarci per essere più forti; non abbiamo fiducia nei cinesi, ma preferiamo delegare al primo venuto dalla Cina la gestione del proprio prodotto o marchio; parliamo di Made in Italy, ma non vediamo l'ora di produrre all'estero; parliamo di internazionalizzare, ma non andiamo oltre la presenza di una fiera all'estero o una missione; ed altro ancora.

Parlando con le aziende queste spesso ci domandano: 
"Ma il mio prodotto piace ai cinesi? Perché se così  non fosse  cosa vado a fare in Cina ?"
Ovvero : vado in Cina se vendo (o ho venduto) altrimenti  non  vado.
A questi quesiti in genere rispondiamo che 1) Bisogna capire cosa piace ai cinesi;  2) se non mostriamo il prodotto e lo facciamo provare come possiamo capire se piace
Ovvero: la fase di proposta e acquisizione delle informazioni del mercato devono essere fatte più direttamente possibile dal produttore.
Purtroppo le aziende cercano sin dall'inizio di delegare all'acquirente la prima fase di studio e ricerca di mercato che questi deve fare a fronte di un ordine. Poi ci si meraviglia se il prodotto o viene copiato o non viene più acquistato.

Speriamo che in questo momento di crisi  le aziende colgano l'opportunità di cambiare mentalità altrimenti rischiano veramente di non avere più tempo per programmare.

Un proverbio cinese racchiude in poche parole quella che è la situazione attuale e come questa può essere trasformata in opportunità :
Ciò che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla




lunedì 10 giugno 2013

Nuovi dazi della Cina per i vini europei ?

In questi ultimi giorni si legge sui giornali che la Cina vorrebbe introdurre nuovi dazi o barriere ai vini europei visto che l'Europa ha messo dazi alti sui pannelli solari prodotti in Cina.
Immediatamente tutti i giornali hanno riportato questa notizia dando quasi per certa la nuova "tassa" con conseguente danno ai produttori vitivinicoli italiani.
Occorre fare chiarezza e cercare di capire. Per far questo è opportuno conoscere la mentalità cinese e le strategie commerciali che la Cina attua da anni.

In questa situazione l'Italia ha un grosso vantaggio e cioè che il mercato cinese è molto importante per la Francia (con cifre non facili da raggiungere per l'Italia) e quindi, i francesi, per proprio tornaconto utilizzeranno i loro canali diplomatici per risolvere il problema e questo sarà anche a nostro vantaggio. Infatti si sono già mossi ! E' probabile che la Cina abbia utilizzato questo pretesto  proprio per ridurre lo strapotere commerciale e di immagine dei vini francesi in Cina.

Un altro aspetto da tener conto è che la Cina privilegia i rapporti di scambio,  le contropartite, il do ut des commerciale, sia come retaggio della vecchia compensazione (baratto) che attuava nei primi anni di apertura non avendo moneta (dollaro) per i pagamento e sia come politica di crescita attuata da Deng Xiao Ping dal 1979 e cioè scambio di attività, servizi, mercato per crescere (basti vedere il settore dell'auto).
Nel settore vino la Cina ha già rapporti privilegiati con Australia,  Cile, California ai quali facilita l'apertura del mercato cinese per i loro prodotti a fronte di contratti speciali di forniture di materie prime come lana, acciaio, petrolio ed altro.
La Francia è un discorso a parte. I rapporti diplomatici,  tutto sommato, sono sempre stati buoni sin dai primi anni del '900; i rapporti con le università sono stati ottimi da sempre. Nel Vino la Francia è entrata per prima, e proprio per la politica del do ut des commerciale, i francesi hanno "insegnato" ai cinesi a fare il vino. Forse, l'unica paura è che la Francia sia troppo presente sul mercato e che quindi la Cina voglia un po ridurre la sua "forza" commerciale. Era successo qualcosa di simile anche con Carrefour qualche anno fa.
Situazioni simili si stanno verificando con il Giappone per una disputa su una isoletta di fronte alla Cina passata al Giappone dopo la IIa Guerra Mondiale, molto piccola, anche se in posizione strategica.
Di fatto il governo cinese sta mettendo in cattiva luce il Giappone con conseguente danno commerciale alle moltissime aziende produttrici giapponesi presenti in Cina. Anche qui la situazione è a dir poco sospetta.
All'odiato Giappone è stato permesso per decenni di investire in Cina . Ciò a permesso la crescita della Cina (investimenti, tecnologia, know how, brands) basti pensare al settore elettronica, auto, trasporti, ma la troppa presenza e forza straniera  in Cina deve essere tenuta sotto controllo.
La mia tesi appare più veritiera se si pensa che la Corea del Nord, Paese da sempre amico della Cina, avrebbe certo bisogno di una seria e decisa presa di posizione della vicina Cina visto il pericolo nucleare evidente. Fra l'altro, date le precarie condizioni economiche del paese e le sue dimensioni anche in termini di popolazione, credo che basterebbe davvero poco. Tuttavia la Cina non è così decisa come per il Giappone.

E l'Italia dov'è ? L'Italia non c'è semplicemente perché l'Italia in Cina non è presente così come lo sono altre realtà internazionali. Forse alla Cina è sufficiente la comunità cinese in Italia per controllare il nostro Paese !
Il vino italiano non è presente in Cina e quello presente è svenduto prima ancora di essere venduto ! Viene venduto dall'Italia Chianti DOC a €1,30,  Rosso IGT a € 0,80 sfuso a € 0,45/litro il che vuol dire che il cinese può vendere una sua etichetta con un vino fatto in Italia che costa molto meno del vino fatto in Cina e, sebbene il vino italiano low cost  non sia eccelso venduto a quei prezzi, è sempre meglio di quello cinese.

Allora ai tanti allarmismi apparsi sui giornali risponderei con una notizia dal taglio ottimista: 
- non credo che la Cina apporrà nuovi dazi sul vino europeo; 
- la Francia correrà anche per noi;
- il dazio attuale in Cina sul Vino è del 50% circa. Se anche raddoppiasse i nostri vini low cost reggerebbero sempre all'urto dell'aumento
- non abbiamo molto da perdere, perché non abbiamo grossi investimenti e non abbiamo grande visibilità

Non ci rimane che sperare nel biblico "gli ultimi saranno i primi!"